L’autocritica di un politico di lungo corso

di Corrado Poli

Leggo con piacere un bel intervento di Ivo Rossi utile a farci dimenticare il passato e proiettarci nel futuro di Padova.
Rossi ha il coraggio di scrivere un mea culpa, quasi un autodafé, e accusa i politici e le classi dirigenti padovane che hanno condotto negli ultimi trent’anni la città verso la decadenza.

L’intervento – autorevole considerato che Ivo Rossi ha partecipato alla politica padovana per oltre quarant’anni – riguarda soprattutto la scelta del sito di Padova est per il nuovo ospedale (meglio policlinico) anziché in altro luogo considerato più idoneo e sostenuto dalle amministrazioni di Zanonato. Rossi fustiga la politica padovana e se stesso per l’incapacità di compiere scelte oculate e in tempi rapidi. 

Per un aspetto sono in disaccordo. Egli scrive che il tram di Padova e il nuovo ospedale erano opere “pensate come straordinari momenti di innovazione e modernizzazione, indispensabili per un salto di scala della città e della qualità dei suoi servizi”, ma che “sono presto diventate oggetto di un conflitto politico fine a sé stesso in cui si sono persi di vista gli interessi della città”.

Giustamente Rossi sottolinea come il bene della città sia passato in secondo piano rispetto agli interessi costituiti che ne hanno condizionato la politica. Ma, dopo questa ammissione, Rossi incorre in un errore di analisi: si trattava solo di due singole opere di media portata in una città che negli anni Novanta aspirava a diventare la capitale del Nordest, e in gran parte già lo era. Pensare che si trattasse di “straordinari momenti di innovazione e modernizzazione” dimostra un’idea della politica molto modesta. In effetti, il solo pensare che queste due opere potessero consentire a Padova di fare un “salto di scala” descrive nel modo più chiaro possibile perché la nostra città sia piuttosto caduta da quella scala dopo esserci salita. 

Non è l’opera materiale che fa grande la città, ma il contesto civile ed economico in cui si colloca, tra cui la classe dirigente che riesce a realizzarla e renderla viva. E se la politica padovana è stata deficitaria, come sostiene Rossi, lo sono state anche la finanza, la Chiesa, l’industria, l’università e in genere tutti coloro che avrebbero potuto contribuire a elevarla anziché affidarla a chi ha gestito per loro conto e per gruppi di interesse nazionali un’ordinaria amministrazione sottotraccia. Non c’è stato bisogno di un ospedale nuovo per consentire a Gallucci di fare il primo trapianto di cuore così come non sono stati gli edifici che hanno permesso alle imprese, alla finanza, alla ricerca, alla cultura padovane di farsi conoscere nel mondo. Né un auditorium per dare visibilità internazionale ai solisti veneti di Scimone e avvicinare i padovani alla musica.

Queste manie di grandezza materiale e di modernizzazione post-litteram non sono altro che l’altra faccia di una mediocrità che sta alla radice del fallimento della politica della città. Come si può soltanto immaginare che nel realizzare grandi opere non si incorra inevitabilmente nel conflitto politico? Politici capaci sono chiamati per l’appunto a gestire il conflitto e il consenso. Rossi ammette con sincerità che la politica padovana ha fallito allo stesso modo nel passato e nel presente accomunando il caso del tram di fine secolo a quello dell’ospedale.

E cita il referendum da lui promosso nel 2000 per fare il tram: fu una vera presa in giro delle istituzioni referendarie sotto tutti gli aspetti e non certo per colpa sua. Infatti, contemporaneamente l’amministrazione Destro in carica, vergognosamente indisse un altro referendum con il risultato che ognuno votò il proprio e disertò l’altro togliendo ogni senso alla consultazione popolare.

Rossi sorvola invece su un passaggio essenziale: il referendum sul tram era stato chiesto all’amministrazione da nove consigli di quartiere su undici nel 1998. La risposta di Zanonato fu: “Mi avete eletto, ora decido io” così che ne negò la celebrazione violando di fatto lo Statuto comunale, le norme basiche della democrazia e quelle appena più sofisticate del consenso.

Più che di immobilismo, si trattò di incompetenza politica e mancanza di rispetto a cittadini e istituzioni da parte dell’amministrazione Zanonato in carica dal 1993 al 2014 (e in parte riciclatasi nel 2017) salvo la breve parentesi di Giustina Destro che vinse proprio a causa della pessima gestione politica della vicenda del tram ricordata da Rossi.

Ancora più penosa è stata la vicenda del nuovo ospedale. Quali sarebbero le grandi scelte strategiche di oggi? Due colate di cemento, l’una sulle mura cinquecentesche e l’altra alla periferia di una città media inquinata? Un modesto e obsoleto metrobus che non serve a nulla se non a qualche affare promesso? Ora, non dico che un posto valga l’altro per l’ospedale: il problema è secondario poiché la città si adatta alle opere materiali senza trascurare che la cicatrice di pediatria sulle mura rimarrà per secoli.

Piuttosto, Rossi sogna la possibilità di giungere a decisioni non condizionate da interessi di parte e lungimiranti. Ma non è così che funziona: le scelte ci sembrano lungimiranti e strategiche solo se corrispondono alle nostre idee e agli interessi che ci motivano. Non è il tempo delle grandi visioni né dei despoti illuminati: la politica deve sapere ricomporre i conflitti e nel caso dell’ospedale l’ha fatto con grande ritardo e mille contraddizioni.

Nel suo articolo, dal mesto sapore di rimpianto, Rossi si rammarica di avere maldestramente perduto le elezioni del 2014 poiché si presentò fuori tempo massimo in nome della continuità e della conservazione di quella classe politica che oggi onestamente ritiene responsabile della decadenza della città. I danni del decadimento pluridecennale della politica padovana non si possono sanare in poco tempo e noi speriamo che la transizione che Giordani sta gestendo porti a qualche progresso. Un gruppo dirigente giovane capace di sostituirsi al vecchio forse sta emergendo, ma procede ancora con grande fatica e poca convinzione.

Corrado Poli