Alternativa a Zaia, Giaretta: “Il suo un consenso vuoto, noi ripartiamo dai bisogni popolari”

L’impietosa analisi del primo segretario del Pd veneto, che lancia una proposta: “Lavorare fin da subito coinvolgendo le intelligenze vive nella società. Per riaccendere la passione politica”


Che il Veneto sia una landa militarizzata dietro le insegne del Conducator che le dà il nomignolo di Zaiastan, è risaputo. Ma che respiri e lotti in mezzo a noi un altro Veneto non omologato, questo suona sempre come una notizia, come se dal coma vegetativo ogni tanto si svegliasse il corpo semi-morto del centrosinistra – o di chi, semplicemente, non è iscritto al partito unico zaiano. Un Galvani che tenta di rianimare il mezzo cadavere con qualche scossa elettricamente polemica è, per esempio, Paolo Giaretta. Ex molte cose (sindaco di Padova, plurime volte senatore, sottosegretario allo sviluppo economico sotto Prodi e soprattutto, riguardo ciò che leggerete, primo segretario regionale del neonato Pd, nel 2008-2009), oggi la pellaccia dura del democristiano purosangue distende i nervi alla vicepresidenza dell’Orchestra di Padova e del Veneto, ma dalla sua seguitissima torretta social e attraverso una notevole produzione di libri (l’ultimo, uscito per i tipi de Il Poligrafo, ha l’impegnativo titolo “Identità e rappresentanza politica nel Veneto della Repubblica 1948-2020. Elementi per una storia politica”) osserva impietoso e mena fendenti potendosi permettere, da militante semplice del Partito Democratico, il lusso della verità. Con lui, chi scrive ha provato a fare l’esame autoptico della situazione, sia mai qualcuno fosse interessato a ravvivarla.

Scaribarile, offesa ai Veneti

Luca Zaia è bravo, dicono tutti. Bravo a sapersi vendere bene. Ha fatto di sè un marchio registrato, riuscendo a identificare sè stesso con il Veneto (di qui il 77% dei voti alle regionali del 2020). E’ la politica come marketing, bellezza. “Indubbiamente”, riflette Giaretta, “la sua capacità di essere un brand viene dal saper farsi interprete del senso comune del Veneto. In questo, ma non in altro, è paragonabile alla Dc, che tuttavia era anche una grande organizzazione di partecipazione popolare”. In effetti, sia pur d’aiuto nell’ammassare tutto quel consenso, la Lega non risulta decisiva, rispetto al potere da influencer dell’opinione pubblica che il presidente della Regione gestisce in proprio. Sembra banale ripeterlo, ma a molte teste lambiccate o settarie sfugge ancora la forza della comunicazione studiata ora per ora, martellante, capillare, sistematica che nella società dello spettacolo fa la differenza. Se ci aggiungiamo la corsa a magnificarlo da parte dei mezzi d’informazione locali (e non solo: si pensi a certe interviste “telefonate” sul Corriere della Sera o anche su Repubblica, per non parlare di Fabio Fazio o di Paolo Del Debbio in tv, e l’elenco potrebbe continuare), il risultato è quello che conosciamo. Giaretta annuisce: “Senz’altro bisogna mettere in conto il dominio sui media. Le conferenze stampa quotidiane senza interlocuzione sono anch’esse un marchio di successo, ghiottissime per le televisioni locali che fanno audience gratis. Si deve porre attenzione al fatto che un pubblico che ascolta il suo verbo come buon senso comune c’è, non dimenticandosi della tragica frase del Manzoni: ‘il buonsenso c’era, ma aveva paura del senso comune'”. Facciamo notare che il mastro artigiano di common sense è volpino anche per il sapiente ricorso allo scaricabarile e all’evitamento, cioè, quando qualcosa non va è colpa di qualcun altro (Roma, l’Ue, i grillini, la sinistra, gli alieni, eccetera) e se qualche scelta a lui riconducibile va storta, fa finta di niente o gira la frittata dal verso che gli conviene. “Ma questo rappresenta un degrado della vitalità tipica dei Veneti che si rimboccano le maniche!”. Una palese contraddizione. “Mi viene in mente un proverbio trevigiano che una volta mi disse il compianto Ulderico Bernardi: ‘Come noialtri non ghe xe altri, se ghe xe altri, che i vegna fora‘. Ma non è sempre colpa degli altri. Sulla Tav che non arriva a Padova, ad esempio, Zaia non ha mai detto nulla, perchè è il Veneto che non è stato capace di offrire una soluzione per tempo al nodo di Vicenza. Lo stesso sulle aziende ex municipalizzate, alcune delle quali finite in braccio all’Emilia (Acegas-Aps, ndr). Questo continuare a parlare di ‘Roma ladrona’ o ‘Europa matrigna’ è davvero singolare, rispetto a un Veneto da sempre e ancor oggi aperto al mondo, e che in passato ha avuto uno sviluppo pensato. Ricordo, per dire, il titolo che Bernini (esponente democristiano di punta della Prima Repubblica, ndr) aveva dato al suo programma: ‘Veneto terra di relazione’. Il Veneto non era piagnone, lo è diventato rinunciando a intervenire sui punti di debolezza”.

I silenzi del Governatore

Zaia qualche oggettiva freccia al suo arco ce l’ha: le Olimpiadi a Cortina, per dirne una. Capirai, replica Giaretta: “Ci vantiamo di una vetrina in comproprietà con la Lombardia, un’iniziativa in cui siamo soci di minoranza, mentre in Emilia si sta costruendo il quinto centro di calcolo al mondo. E’ con la ricerca che si attraggono talenti e si mantengono qui quelli che già ci sono. Non sarà un caso che molti studenti e laureati si trasferiscono là”. Insomma, sotto il vestito di Zaia, il niente. Non che dall’altra parte ci sia molto più movimento reale. “Il politico deve saper utilizzare i fatti la cui ostinazione prima o poi fa venire a galla l’irrisolto. Ilvo Diamanti all’indomani del trionfo di Zaia ha scritto che questi vince ‘perchè non ha fatto niente’, intendendo dire che in realtà non governa una Regione policentrica con una potenziale area metropolitana diffusa, si limita ad assecondarne lo spontaneismo. Ma la competizione economica oggi avviene fra sistemi territoriali, non più fra singole imprese. Zaia se la cava non parlando di cose scomode, ma questo alla lunga desertifica le infrastrutture materiali e immateriali. Pensiamo alle banche popolari, e qui c’è da chiedersi anche cosa hanno fatto le associazioni di categoria”. Si potrebbe rispondere che erano a banchetto pure loro. Il triste elenco di omissioni del Governator che tutto il mondo ci invidia prosegue: “E le fiere, che procedono ognuna per conto suo? E la stessa autonomia, su cui Zaia ha messo in scena un referendum-truffa, mentre poteva optare per il negoziato mediante l’articolo della Costituzione sull’autonomia differenziata?”.

Chi desiste dalla lotta…

Per chi non vuole morire zaiano, qualche speranza c’è. “Anzitutto, oltre ai nodi di cui abbiamo detto che verranno al pettine, al prossimo giro non potrà di nuovo essere lui il candidato alla presidenza, e questo creerà un problema di successione che non sarà semplice risolvere, per la Lega e il centrodestra. Nei prossimi anni, poi, verrà alla luce il paradosso del governatore: essere il presidente dell’autonomia che non concede nessuna autonomia ai suoi, in primis agli assessori trattati come degli impiegati”. Traduzione: i galli nel pollaio cominceranno a farsi sentire e a beccarsi l’un l’altro, sia pur sotto diktat di non lavare i panni sporchi in pubblico, come da tradizione leghista. Mancherebbe un tassello non secondario: l’opposizione. In particolare del Pd, che seppur malconcio e demoralizzato resta il primo partito di minoranza. “Il problema del Pd”, spiega Giaretta, “è d’identità profonda, a livello nazionale. E qui in Veneto è ancora più forte. Un partito deve essere capace di accendere passioni collettive che attraversano la vita, mentre qui abbiamo a che fare con un animale politico che non si capisce cosa sia, nè carne nè pesce, che a Roma ha governato e governa senza avere avuto il consenso per farlo”. Cerchiamo di comprendere meglio: che significa non avere identità? “Significa non essere connessi alla società per com’è”. Effettivamente, un partito che candidava una Alessandra “Ladylike” Moretti, qualche problemino di sconnessione doveva avercelo. “Ma mandando allo sbaraglio Arturo Lorenzoni (candidato governatore l’anno scorso, civico cattolico di sinistra, ndr) siamo andati ancora più giù, eppure era chiaro che replicare il modello Padova sul piano regionale non avrebbe funzionato”. Gli errori si sono sprecati: “Prendiamo il ‘sì critico’ a quell’imbroglio di referendum sull’autonomia nel 2017. Anzichè proporre un’agenda diversa sull’autonomia, ci si è arresi in partenza. Oppure i diritti, ridotti all’ambito dell’identità sessuale: ma i diritti sociali che riguardano le diseguaglianze della maggioranza, di quelli non parliamo? Voglio dire: la legge sulle unioni civili è giusta, ma ha impegnato il Pd per mesi quando poi, se andiamo a vedere per esempio a Padova quante unioni si sono celebrate finora, scopriamo che sono soltanto 5. E’ proprio assente un pensiero politico che lavori a un progetto attorno a cui appassionarsi. Dopo la sconfitta del 2020, il Pd non ha fatto niente”. Il segretario Bisato non si è neanche dimesso (“un po’ come il predecessore De Menech che dopo il tonfo della Moretti ci ha messo un anno per lasciare”, sottolinea Giaretta). Sembrano preistoria i tempi in cui a sinistra si faticava sodo per conquistare l’egemonia, operando appunto sul senso comune, sulla cultura, sulle arti, sull’informazione, sull’immaginario. Ma oggigiorno Gramsci è dimenticato e ognuno bada soltanto al proprio orticello.

I poveri non puzzano

Un bel disastro. Ma ora, come si dice, che fare? “Non solo criticare Zaia sui singoli punti. C’è tutto un lavoro culturale prima che politico da svolgere, per rifondare una comunità del Pd che Renzi ha distrutto”. Il neo-segretario nazionale Enrico Letta sta avviando un giro di “agorà”, come le ha battezzate, per radunare le forze e fare l’appello dei presenti, e ha affidato il compito a una triade in cui spicca il capogruppo piddino in consiglio regionale veneto, Giacomo Possamai. Un segno di vitalità, questo di Letta? “E’ interessante che abbia affidato l’organizzazione a un giovane come Possamai. Il fatto è che la finestra d’opportunità per riorganizzarsi garantita dal governo Draghi, che una volta si sarebbe chiamato di solidarietà nazionale, è stretta. Qui si parrà la nostra nobilitate, per citare il Poeta. Di certo di un partito come il Pd c’è bisogno. A condizione di capire che il consenso di Zaia è larghissimo ma vuoto di contenuti”. E i contenuti di un fronte alternativo dovrebbero ripartire anche dalla bistrattata pancia: “I grandi partiti sapevano orientare le questioni cosiddette di ‘pancia’, erano in grado cioè di essere autenticamente popolari. Un aneddoto servirà a capirci meglio, me lo raccontò un giorno Cossutta (Armando, storico leader di Rifondazione Comunista, ndr): si era negli anni ’60, uno dei più alti dirigenti del Pci di allora, Pajetta, giunse a Milano in una giornata in cui si giocava, mi pare, Inter-Roma. Allora non c’erano i telefonini, e quando scese dall’aereo chiese al segretario della federazione locale il risultato della partita. Il poveretto non lo sapeva. Bene, il giorno successivo l’intera federazione fu commissariata. Perchè? Semplice: perchè un partito di popolo non può ignorare le passioni che animano il popolo. Non si può liquidare la ‘pancia’ perchè, come dice il Papa, ‘i poveri puzzano’. Ci vuole umiltà”. Fuor di aneddotica, Giaretta consiglia caldamente di cominciare già adesso a individuare le forze vive, coloro ad esempio che lanciano sassi nello stagno (come chi, su questo sito, ha lanciato un manifesto per un “Movimento dei Democratici veneti”). E con una precisa strategia: “Agire sui vuoti di Zaia, non fare esclusivamente il contrappunto critico. Ed è necessario coinvolgere intelligenze che vorrebbero mettersi in gioco, ma occorre un imprenditore politico che voglia investire su di esse, e questo imprenditore politico dovrebbe essere il Pd. Altrimenti, se ne vanno”. E con loro, anche la possibilità di giocarsi la prossima sfida onorevolmente.

Alessio Mannino