A proposito del lettino rifiutato dall’onorevole Martella

(di Mirco Casteller). Ciò che la psicanalisi può offrire ad una politica impegnata ad emanciparsi da una condizione difficile

E’ di questi giorni l’affermazione con cui un noto esponente politico ha preso le distanze dalla pratica della ‘psicanalisi politica’ quasi che essa possa essere relegata a futile discussione da salotti nobili e strumento di indebolimento dell’azione politica.

In realtà quello che sta succedendo in questa epoca, negli ultimi mesi di questo preciso momento storico, necessita di una più approfondita analisi, che ci faccia ben comprendere le paure e le scelte vissute dalle persone che ci circondano.

Ricordo, che c’era un motto, diventato una sorta di slogan sul finire degli anni Sessanta, che diceva qualcosa come “il personale è politico”.

I fatti personali, quel che accadeva dentro le mura domestiche, le sofferenze dei singoli individui, venivano letti con una lente sociale, erano impastati di politica, di giochi di potere e riguardavano tutti, non solo la singola persona cui accadevano.

Erano gli anni dei movimenti femministi, della liberazione sessuale, ma anche di quelli operaisti, delle lotte per i diritti sociali.

L’idea di base, pur con le dovute differenze, era quella di combattere contro un potere oppressivo, soffocante e annichilente, il cui scopo era quello di isolare i singoli soggetti affinché non potessero ribellarsi, lasciando che ognuno piangesse da solo le proprie personali miserie e fosse, in tal modo, più gestibile, meno pericoloso, meno in grado di scalfire quel Potere con la lettera maiuscola.

Quanto simile è l’esperienza attuale che sta facendo l’umanità davanti al covid-19?

Ma soprattutto, quanto l’idea di allora, che insomma bisognasse abbattere quel muro che aveva sempre separato il personale dal politico, la convinzione che se tutti i singoli individui si fossero accorti che i loro problemi erano simili, allora ci si sarebbe potuti unire contro il comune oppressore per tentare di sconfiggerlo, possa essere attuale?

Ricordiamoci ad esempio le femministe, in particolare, avevano dato vita in quel periodo a gruppi di autocoscienza in cui condividere con altre donne ciò che ciascuna viveva nel proprio privato.

Un privato che fino a quel momento era sempre rimasto nascosto, celato dietro al pudore e alla morale borghese.

Questi gruppi funzionavano come dei gruppi terapeutici, con la differenza che non c’era alcun conduttore, nessuna forma di potere verticale, bensì un’orizzontalità volta alla condivisione di esperienze, pensieri e vissuti che da personali diventavano collettivi, politici, appunto.

Finalmente potevano emergere temi fino a quel momento rimasti nascosti dietro le mura domestiche, primo fra tutti quello della sessualità, considerata qualcosa di scabroso, un eccesso di naturalità che la società, con la sua morale borghese, doveva reprimere e tappare all’interno di una sfera privata, invisibile.

Una naturalità originaria, insomma, soffocata dal potere moralizzante delle istituzioni.

Poi sono arrivati Foucault e Lacan

Questa era all’incirca la lettura di quegli anni, ma poi arriva Michel Foucault, che nel 1976 pone dei dubbi, tipo che forse questa ‘ipotesi repressiva’ di una presunta naturalità originaria (sessualità, libertà e così via), castrata brutalmente dai poteri oppressivi della società borghese, è tutto sommato un po’ semplicistica.

Le cose sembrano essere più complesse di così.

Natura e cultura ci dice Foucault non camminano su binari paralleli, dicotomici; non c’è da un lato un essere originario, cosiddetto naturale, puro e detentore di una qualche somma verità e al polo opposto una costruzione socio-culturale applicata all’individuo naturale che avrebbe il compito di frenare e moralizzare le spinte pulsionali di quegli animali che ci saremmo dimenticati di essere.

Non c’è, una sessualità senza un sapere sulla sessualità; né viceversa un discorso sulla sessualità che prescinda da essa. Non esiste un godimento naturale nell’uomo che sia separabile dalla legge e dal linguaggio.

Ma non è finita, anzi, arriva Jacques Lacan, che, forse più di ogni altro, ha evidenziato il rapporto poroso che sussiste tra natura e cultura, tra pulsione e castrazione, tra godimento e legge.

Lacan afferma come la civiltà produca necessariamente frustrazione a causa del ruolo castratore che ha nei confronti della pulsionalità individuale.

Il soggetto, ci dice Lacan, nasce in un ‘bagno di linguaggio’, non ha la parola ma è parlato dall’Altro (madre, padre, scuola, società e così via), ne è assoggettato.

Liberarsi da questo Altro è, per Lacan, strutturalmente impossibile. Di conseguenza, non c’è azione umana che sia naturale perché ogni atto, in primis quello sessuale, è marchiato dal taglio significante del linguaggio.

La frase famosa di un suo libro “ora non sto scopando con te, sto parlando con te. Ma posso trarne la stessa soddisfazione come se stessi scopando”, ne è un esempio.

Ciò che dunque il soggetto ha di più intimo, il suo godimento appunto, è insieme causa ed effetto della Legge del linguaggio; i due piani sono inscindibili.

Il personale, per così dire, è allora strutturalmente politico – simbolico, direbbe Lacan – così come, viceversa, il politico è strutturalmente personale.

Ma qual è la funzione – personale e politica, per tornare all’inizio – della psicoanalisi?

Quale spazio di gioco e di resistenza politica per la psicoanalisi se questa liberazione da “ciò che l’Altro ha fatto di noi” è impossibile?

Soprattutto se ciò che ci riguarda più intimamente è già stato detto e scritto dalle parole dell’Altro?

La psicanalisi può insegnare molto alla politica

Ecco, a mio avviso, la psicanalisi può insegnare molto alla politica.

Una grande lezione dalla quale si potrebbe trarre ispirazione potrebbe essere ad esempio il rifiuto di questa illusione.

Il rifiuto dell’illusoria pretesa di liberarsi dall’Altro, una liberazione che in fondo porta irrimediabilmente dritti tra le braccia di un nuovo ma identico Altro o, peggio ancora, alla distruzione del soggetto stesso.

La politica fatta di leader e non di partito esclude altro….elemento costitutivo non solo della psicanalisi ma della Democrazia.

Ricordo, dai libri universitari che Lacan mentre faceva lezione a un gruppo di studenti di Vicennes sul finire degli anni Sessanta disse: “l’aspirazione rivoluzionaria ha una sola possibilità, quella di portare, sempre, al discorso del padrone. È ciò di cui l’esperienza ha dato prova. Ciò a cui aspirate, come rivoluzionari, è un padrone. L’avrete”.

Parole forse non piu attuali ?!

Come a dire che, appunto, dall’Altro non si può uscire, che la destituzione di un Potere Altro, anche qualora fosse possibile, porterebbe inevitabilmente all’istituzione di una nuova forma di Potere, altrettanto padronale.

Quindi il tema ancor più oggi non è uscire dalla psicanalisi della politica o ancor meno perseguire la democrazia… ma bensì decidere quale sia il potere padronale ‘necessario’.

Il covid-19 in tutto questo aiuta……

E allora la questione non sta nell’uscita, nella dismissione di un grande Altro – che sia sociale o individuale, personale o politico, che sia il ‘sistema’ o il bagno di linguaggio in cui Lacan parla.

La questione politica si trova piuttosto nella possibilità di “farcene qualcosa di quello che gli altri hanno fatto di noi”.

In questa celebre frase di Jean-Paul Sartre sta a mio parere la portata politica della psicoanalisi: non la liberazione del soggetto da un altro che lo soffoca, ma una soggettivazione della sua condizione, che è sempre inevitabilmente sia sociale che individuale.

La psicoanalisi permette una riscrittura della storia del soggetto che, dicendola, la fa propria: una nuova storia che risignifica ex novo quanto era già stato scritto.

Permette di aprire una faglia nel determinismo che sembra inchiodare il soggetto a una ripetizione sempre identica del discorso familiare o sociale in cui è immerso, generando la possibilità di soggettivazione (e quindi di cambiamento) di un destino già tracciato.

Creare quello che ancora Sartre, parlando di Gustave Flaubert, chiamava un petit décalage, un piccolo scarto, capace di trasformare ‘l’idiota della famiglia’ nel grande scrittore che noi tutti conosciamo.

L’idiozia, la bêtise, con cui l’altro familiare lo aveva marchiato fin dalla nascita portandolo a un mutismo senza parole, diventa il punto di partenza della proliferazione della sua scrittura.

Questo è, a mio avviso, il compito etico della psicoanalisi: creare una faglia nel determinismo, di “divenire ciò CHE si è”, e la Politica ne ha bisogno oggi come allora per tentare di difendere la democrazia innescando un processo di partecipazione e liberazione da una condizione difficile (e quella del PD veneto lo è davvero).

Mirco Casteller